Facce da Fight Club. Tumefazioni, nasi rotti, labbra spaccate, occhi gonfi. Pugni e odio. Calci e liberazione. Immaginate di trovare nella lotta corpo a corpo un espediente per tirar fuori tutto l’odio che provate per il mondo, per la vostra banale vita, per il vostro lavoro che non vi dà stimoli. Fight Club: potente antidepressivo.
Di facce da Fight Club se ne incontrano tante nel romanzo. Le più frequenti sono quelle dell’anonimo narratore e di Tyler Durden, la sua guida, il suo faro. Da una scazzottata liberatoria nasce l’idea del Fight Club, una sorta di mondo parallelo della durata di cinque ore, dalle due di notte del sabato alle sette della domenica mattina. Cinque ore di puro combattimento, a mani nude, senza camicia, nei locali di periferia. La prima regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club. La seconda regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club. Massima discrezione su questo circolo di lottatori.
Per combattere l’insonnia il protagonista segue i circoli dei malati terminali di cancro. E questa soluzione funziona. Finché non arriva Marla Singer: anche lei finge di essere malata per sentirsi meno sola al mondo, ma la sua presenza è destabilizzante per il protagonista. Torna l’insonnia e allora Tyler Durden diventa l’emblema della forza, della potenza e dell’onnipotenza. Tyler che sa tutto, Tyler che ha un piano per ogni evenienza, Tayler, l’inventore del Fight Club, quel “signore” tanto rispettato dalla gente con i volti da Fight Club.